Il “comparatico” di San Giovanni
Ultima modifica 25 marzo 2022
di Mauro Gioielli - www.maurogioielli.net
Articolo pubblicato sulla rivista «POLIS» (periodico mensile della vita amministrativa,
economica e culturale del Comune di Isernia), anno III, n. 2, febbraio 2002, p. 12.
Fino a qualche decennio fa, a Isernia era in uso un rituale infantile o puberale effettuato nel giorno di San Giovanni (24 giugno). Questo rito, denominato comparatico (o comparaggio) e comune a molte altre aree geografiche, a Isernia aveva un suo preciso luogo di svolgimento, il “largo della fiera”, cioè lo spiazzo antistante l’attuale parco della rimembranza, nei pressi dell’antico lavatoio pubblico (ru puzze). Oltre al sito, il rito isernino aveva altre componenti caratteristiche: una croce di fiori, un piccolo altare improvvisato e dedicato al santo (con una sua immagine), l’elemento idrico e quello litico, la recitazione d’una formula dialettale, un ‘circuito’ magico-religioso.
Alcuni, in passato, hanno accennato alla cerimonia. Nel 1924, Berengario Amorosa scrisse: «Il giorno 24 giugno, festa di S. Giovanni, in una piazza d’Isernia vien piantata una Croce dell’altezza di un uomo, infiorata. Quelli che desiderano farsi compari, tenendosi per mano, e ripetendo alcune frasi sacre, girano intorno alla Croce; e dopo vanno a bagnare il piede destro nudo in un canale d’acqua».
Nel 1948, Ermanno Turco segnala la medesima tradizione popolare, cui era legata anche la preparazione d’un modesto altarino «che alcuni bimbi del rione erigono proprio nel sito in cui, poco più di un secolo addietro, esisteva una delle due chiese del Sovrano Militare Ordine di Malta». Era la chiesa intitolata a San Giovanni, andata distrutta per gli effetti del terremoto del 1805. In quel luogo – aggiunge Turco –, i ragazzi isernini, «il 24 giugno di ogni anno, stringono, con giuramento, il patto di amicizia e fratellanza».
Ecco, invece, come la stessa cerimonia, estintasi a metà dello scorso secolo, mi è stata descritta da due informatrici che, in gioventù, sono state attrici del rito. Si preparava una croce di fiori alta all’incirca un metro e mezzo, poi si innalzava un altarino con un quadro di San Giovanni, davanti al quale si poneva un grosso cero. I ragazzi e le ragazze vi si recavano per “farsi compari” o “comari”. A due a due si prendevano per il mignolo d’una mano (comparatico a ditillo) e, facendo dondolare il braccio, dicevano:
Cumbare e cumbarieglie spartemmece l’anieglie.
R’anieglie s’è spartute e ru cumbare ze n’è fujute.
Quindi, con un colpo secco, liberavano i mignoli. Poi i due compari giravano intorno alla croce sette volte (percorso sacro), infine prendevano tre sassolini (elemento litico) e li andavano a gettare nell’acqua del vicino lavatoio (elemento idrico), acqua nella quale si bagnavano i piedi o, più semplicemente, si lavavano le mani (a volte facendosi il segno della croce). In qualche occasione, dopo il rito, i due nuovi compari si scambiavano un modesto regalo (un fiorellino o una monetina) oppure ponevano un proprio capello sul capo dell’altro.
Questo rito, secondo i più, vorrebbe ricordare il vincolo sacro stabilitosi tra Gesù e San Giovanni nel fiume Giordano, sarebbe un rapporto spirituale che non deve essere tradito, pena improvvise sventure. A Isernia, infatti, essere cumbare re San Giuvanne significava rispettare un legame con valenza quasi superiore a quello esistente tra due fratelli.