I Ss. Martiri Nicandro, Marciano e Daria Protettori d’Isernia
Ultima modifica 25 marzo 2022
uno scritto del teologo Giuseppe Ruggiero
Foglio datato 17 giugno 1948 (collezione Mauro Gioielli)
Il 17 giugno 1948, fu stampato a Isernia, nella tipografia Fratelli Colitti, un foglio volante composto di quattro facciate e intitolato Fra gli astri della Santità: I SS. Martiri Nicandro, Marciano e Daria Protettori d’Isernia. Il foglio porta la firma del «Can. Dott. Giuseppe Ruggiero, Teologo della Cattedrale».Si tratta d’un breve scritto sui santi patroni della città di Isernia (ma anche della diocesi di Isernia-Venafro e di Venafro stessa).
Ruggiero, in un passo del foglio, afferma di aver voluto dettare «dei nostri Protettori [...] il più alto, il più degno, il più eloquente elogio». Con tale «rievocazione della loro altissima figura» – aggiunge il teologo – si intende «farla rivivere in noi, mentre ne invochiamo il valido patrocinio, per attingere quegli insegnamenti che siano per noi, per tutti, palestra di virtù, scuola di eroismo».
È utile a questo punto trascrivere alcune parti del foglio volante.
La loro patria fu l’Africa; le loro famiglie nobili ed illustri, legate tra loro con vincoli di antica amicizia. Come trascorresse la loro fanciullezza, la storia lo tace; dice soltanto che furono soldati delle legioni romane, sotto l’imperatore Diocleziano.
Educati al culto ed alla religione degli idoli pagani, raccolsero come in eredità il seme della Fede di Cristo alla visione del martirio, che – secondo l’energica espressione del fiero apologista Tertulliano – fecondava col sangue dei martiri il seme dei cristiani... Sanguis martyrum...
E divenuti cristiani, furono naturalmente gli Apostoli della Fede, percorrendo le nostre contrade, predicando Cristo, abbattendo i templi degli Dei falsi e bugiardi, e confermando con prodigi lo loro divina missione.
Accusati come cristiani dai sacerdoti degli idoli, furono tradotti davanti al Preside Massimo, il quale, prima con lusinghe, poi con minacce, procura di richiamarli all’insana idolatria. E qui si avvera un prodigio, che viene celebrato con tocchi magistrali nel Libro della Sapienza: Mulierem fortem quis inveniet? Procul et de ultimis finibus pretium eius! – Chi troverà una donna forte? Essa è preziosa come le cose portate di lontano e dalle estremità della terra! (Proverbi – 31, 10-11).
Simile alle antiche eroine, che sono le vere mulieres fortes, Ester, Giuditta, la Madre dei Maccabei, Perpetua e Felicita, e tante altre registrate nei fasti del Martirologio Romano, la moglie di Nicandro, Daria, va anch’essa alla presenza del Preside, e con dolci, ma forti espressioni, incita il consorte a perseverare fortis in fide. Il Preside, a tanta fermezza, confuso da una debole donna, pronunzia contro gli invitti campioni della Fede la sentenza di morte.
«La pace sia con te, o Preside!» rispondono Essi.
Era il loro grido di vendetta! «Ultio sanguinis servorum tuorum, qui effusus est».
Daria, menata fuori della prigione, seguiva lo sposo Nicandro, esortandolo a subire coraggiosamente la prova suprema.
Giunti al luogo del supplizio, vengono lacerati con uncini di ferro e sospesi ad alte travi, con le membra forate da spiedi acuminati; poi distesi su carboni ardenti e battuti con verghe, hanno la lingua recisa; ed infine consumano il loro martirio con la testa troncata. Si era nel mese di giugno del 302, il giorno 17, presso Venafro, nel luogo stesso ove oggi, al posto dell’antico anfiteatro romano, sorge la Basilica dei SS. Martiri, custodita con religiosa pietà dai figli di Francesco d’Assisi.
Questi i brevi tratti della storia dei nostri SS. Protettori, tramandatici pur sotto il velo del mistero, o sotto l’ombra della leggenda [...].
Fortezza, carità, testimonianza di fede! Ecco l’altissima virtù dei pionieri della Fede, dei Martiri [...]. Ed il mondo ha guardato sempre a questi amanti, a questi testimoni.
Tra essi splendono di purissima luce i nostri Protettori, Nicandro, Marciano e Daria. Anch’essi furono dei forti, anch’essi furono degli amanti, anch’essi furono dei testimoni di Cristo; e fecero risplendere alta e solenne la loro luce di virtù e di eroismo, perché vedessero tutti le loro opere e ne glorificassero il Padre che è nei cieli [...].
In conclusione del suo scritto, Giuseppe Ruggiero allude alle piaghe del bombardamento che pochi anni prima aveva distrutto la città che ancora portava impresse le laceranti stigmate del martirio, quindi lamenta la languida fede degli isernini; infine denuncia l’abbandono in cui erano stati relegati i tre santi protettori, difatti il sottotitolo del foglio è: I grandi... dimenticati!
Facciano i forti Campioni della Fede, i nostri SS. tutelari Protettori, ridestare nella loro ingrata terra di predilezione queste virtù di cui si resero così nobili esemplari: facciano risplendere in questa loro Città – che ancora porta impresse le laceranti stigmate del martirio e che li scelse, in tempi di meno languida fede, quali suoi custodi – la loro visibile protezione, al di sopra ed al di fuori dell’abbandono in cui li abbiamo relegati; sì che tutti, senza vuote distinzioni di classi sociali, ritornino alla fede dei padri che in essi venerarono la tutela dei nostri focolari, dei nostri campi, del nostro fecondo ed operoso lavoro!