La festa di Sant'Antonio di Padova
Ultima modifica 25 marzo 2022
notizie tratte dai seguenti articoli di Mauro Gioielli:
1) Sant’Antonio dei cavalli, “La Vianova”, IV, n. 10, ottobre 1997, p. 3
2) Il santo, gli zingari e i cavalli, “L’Arcolaio”, semestrale, n. 5, gennaio 1998, pp. 55-58
3) Un santo per gli zingari, “Extra”, settimanale, V, n. 23, 13 giugno 1998, p. 11 >>> (leggi articolo)
4) Argomenti di cultura popolare: la festa del patrono, le tradizioni musicali, il folclore narrativo, nel volume Mirabello Sannitico. Storia, arte e tradizioni, a cura di Giorgio Palmieri, Comune di Mirabello Sannitico, Edizioni Enne, Monograph/4, Ferrazzano 2003, pp. 183-208: p. 202, nota 5
4) Il santo, gli zingari e i cavalli, “Extra”, settimanale, XII, n. 23, 17 giugno 2005, pp. 16-17
5) Antonio, il santo dei cavalli, “Extra”, settimanale, XV, n. 21, 14 giugno 2008, pp. 16-17
A Isernia, il culto per Sant’Antonio da Padova, la cui festa ricorre il 13 giugno, è tra i più sentiti. Un’antica Confraternita [1], porta il suo nome e a lui è intitolata una cappella (cappellone di Sant'Antonio) della Chiesa di San Francesco.
Due statue ritraggono il frate portoghese secondo una standardizzata iconografia: saio francescano, aureola sul capo, giglio in mano e il Bambinello. Una delle due statue (che, in realtà, nella parte inferiore è una sagoma) è quella custodita nella nicchia centrale del cappellone ed è usata per la processione; la seconda statua, più antica e di straordinaria bellezza, viene occasionalmente esposta, in attesa di restauro.
La sera della vigilia, la prima statua è svestita del saio che ha indossato per tutto l’anno e viene rivestita con l’abito della festa [3]. Il simulacro viene poi addobbato con quelli che si dicono gli ori di Sant’Antonio: numerosi ex voto in metallo prezioso (orecchini, bracciali, spille, anelli, collane).
I cavalli
La mattina del giorno della festa, dopo alcune messe, la statua veniva condotta in processione. Da pochi anni, la processione è serale (con inizio alle ore 18 o alle ore 19). Il corteo processionale è la parte più caratteristica del rito isernino, per la presenza di cavalli bardati con drappi vistosi, nastri colorati e immagini del santo. Fonti orali attestano che, in origine, il numero dei cavalli 'doveva' essere 13, perché «tredici» è il numero di Sant’Antonio (che dispensa 13 grazie al giorno; che si festeggia il 13 giugno; a cui si dedica la tredicina [4]). In realtà il numero dei cavalli, almeno per quanto da me osservato negli ultimi due decenni, è casuale (quasi sempre variabile da 10 a 15).
Gli equini vengono fatti sfilare dietro la statua in un corteo che attraversa la città. Un tempo gli animali (cavalli, asini, muli e bardotti, che sovente trasportavano offerte frumentarie) erano quelli dei contadini locali. Nella seconda metà del XX secolo, la processione ha visto la partecipazione prevalente o esclusiva dei cavalli di proprietà dei Rom stabilitisi a Isernia.
La presenza equina, secondo la tradizione locale (nata sulla scorta dell'agiografia antoniana) è dovuta al ricordo d'uno dei miracoli attribuiti al santo di Padova, ossia quel prodigio eucaristico noto come "miracolo della mula" [5] che qui racconto in sintesi, secondo la versione che viene da generazioni tramandata dal ramo materno della mia famiglia.
«Un giorno Sant’Antonio, mentre con l’ostensorio in mano parlava dell’Eucarestia, venne interrotto da un tale senza fede. Costui disse al santo che avrebbe creduto alla possibilità che il Corpo di Cristo potesse vivere nell’ostia solo se la sua giumenta [6] vi si fosse inginocchiata davanti. “Allora – replicò Antonio – portami la tua giumenta!”. Il tale, dopo alcuni giorni durante i quali aveva fatto digiunare l’equino, lo condusse in chiesa, al cospetto di Sant'Antonio che reggeva in mano un’ostia consacrata. Contemporaneamente, il padrone offrì alla giumenta un fascio di fieno. L'animale non badò per nulla al fieno e s’inginocchiò dinanzi all’ostia».
Aspetti interessanti della festa isernina sono pure gli 'altarini' di Sant’Antonio (edicole votive, dette chiesiole, che sono abbellite con luci, drappi e fiori) e r' paniciegl', ossia il pane dei poveri (o di Sant'Antonio), cibo rituale consistente in panini benedetti che vengono distribuiti ai fedeli [7].
Un’altra caratteristica cultuale è quella dei ‘monacelli’ (munaciegl'). Sono così chiamati i bambini che, per devozione, vengono vestiti come Sant’Antonio. Tale usanza intende invocare la protezione del santo sul bimbo o ha funzione di ex voto per una grazia ricevuta.
Girolamo Tessari, Il miracolo della mula, 1515 ca.
Note
[1] Per l’Arciconfraternita di S. Nicandro e S. Pietro Celestino d’Isernia (appellata) contro Confraternita di S. Antonio d’Isernia (appellante). Corte di Appello di Napoli, 1ª Sezione, Udienza del 4 febbraio 1914, Tipografia A. Iazzetta, Napoli 1914, p. 12.
[2] Questa chiesetta è detta cappellone, nome mutuato dalla navata laterale della chiesa di San Francesco, navata che costituiva la chiesa di Sant’Antonio, conosciuta appunto come Cappellone.
[3] Un saio donato a mo’ di ex voto da una famiglia di fedeli e che è usato per il solo giorno della festa. Questo abito riveste tale funzione “festiva” fin quando non ne sarà offerto in dono uno nuovo (il vecchio sarà accuratamente conservato).
[4] A Isernia, i primi giorni della tredicina coincidono con alcune date della novena per Santa Barbara (che a Isernia si festeggia il 6 giugno), la cui statua è anch’essa conservata nella Chiesa di San Francesco.
[5] Secondo la tradizione agiografica, tale miracolo fu operato da Sant’Antonio a Rimini, nel 1227, dopo essere stato sfidato da un certo Bonovillo, eretico cataro, che gli chiese di dimostrare la reale presenza di Gesù nell’ostia consacrata. La più antica biografia di Sant’Antonio, “L’Assidua” (1232 ca.), riporta le parole di Bonovillo: «Frate! Lo dico davanti a tutti, crederò nell’eucaristia se la mia mula, che terrò senza cibo per tre giorni, mangerà l’ostia che le offrirai tu piuttosto che la biada che gli darò io». Dopo tre giorni, la mula, nonostante fosse affamata per il digiuno, s’inchinò davanti all’ostia consacrata e rifiutò la biada.
Anche la “Begninitas” (1280 ca.), altra antica fonte scritta riguardante Sant’Antonio, narra l’episodio.
Per quanto concerne l’iconografia, varie opere raffigurano il miracolo della mula, tra cui un celebre quadro di Girolamo Tessari (1515 ca.)
A Rimini, in piazza Tre Martiri, è possibile visitare la chiesa eretta in ricordo del prodigio eucaristico antoniano.
[6] A differenza della tradizione orale isernina, le fonti letterarie che menzionano tale miracolo non indicano una 'giumenta' bensì, più precisamente, una 'mula'.
[7] È il cosiddetto pane dei poveri. L’usanza di distribuirlo è nata in ricordo d’un miracolo attribuito a Sant’Antonio, il quale fece resuscitare un bimbo annegato (secondo alcune fonti, in n un grosso recipiente domestico; secondo altre, in un un lago o in un fiume), la cui ricca madre aveva chiesto l’intervento del santo promettendogli in cambio di donare ad ogni famiglia povera del paese tanto grano quant’era il peso del figlio (pondus pueri).