Come salvammo l'Uomo Cervo
Ultima modifica 28 marzo 2022
La maschera zoomorfa del carnevale di Castelnuovo al Volturno
notizie tratte dal settimanale «EXTRA», anno XV, n. 9, sabato 8 marzo 2008
Nel 1997, l’associazione culturale di cui sono presidente, editò il volume di Mauro Gioielli, L’Uomo Cervo re della montagna e maschera di carnevale, nel quale, alle pp. 9-10, l’autore narrò brevemente come, insieme, riuscimmo a “salvare” questa tradizione che rischiava l’estinzione.
Questo il racconto di Gioielli: «La prima volta che venni a conoscenza del carnevale dell’Uomo-Cervo fu nell’autunno del 1986, quando me ne parlò Ernest Carracillo, descrivendomelo sommariamente e consegnandomi una scheda dattiloscritta riguardante la festa, insieme ad alcune foto scattate durante il carnevale dell’anno precedente. Mi disse che oramai la rappresentazione trovava luogo in modo irregolare, viveva “a singhiozzo” e aveva oltretutto subìto una lunga interruzione. Solo grazie all’iniziativa di alcuni giovani era stata ripresa nel 1985; ma era risultata un fallimento e già l’anno seguente non fu possibile ripeterla.
Dal suo racconto e dal testo del dattiloscritto, mi resi conto che si trattava d’un carnevale particolare, un rito che vedeva protagonista una maschera zoomorfa certamente inconsueta. [...] La singolarità m’incuriosì non poco, perciò pregai Ernest di “fare del tutto” per indurre qualcuno dei suoi compaesani a rappresentarlo l’anno successivo. E lui s’impegnò in tal senso.
La tradizione vuole che il rito castelnovese trovi svolgimento l’ultima domenica di carnevale. Pertanto, il giorno precedente tale data, contattai telefonicamente Ernest per chiedere notizie sul Cervo. Purtroppo rispose che nessuno aveva voluto saperne di rappresentare l’antica pantomima. Egli si lamentò del disinteresse generale: quel carnevale rischiava l’oblio. Ma io insistetti affinché convincesse in qualche modo gli abituali interpreti del rito a cambiare idea. Ebbi fortuna. Il lunedì successivo, Ernest mi chiamò per dire che era riuscito nel tentativo. L’Uomo-Cervo sarebbe “tornato” in paese nel giorno di martedì grasso.
A quell’appuntamento non mancai. Mi recai a Castelnuovo, fotografai le fasi del rito e ne annotai le parti salienti, le caratteristiche dei personaggi e quant’altro mi parve utile. Ne nacque un articolo [1], poi un altro, poi un altro ancora. E dopo di me altri si sono interessati alla festa, scrivendo le proprie impressioni e riflessioni. Ciò ha contribuito a ridare coscienza ai castelnovesi sull’importanza del loro carnevale, spingendoli a rigenerarlo.
Questa la scarna cronaca del mio “incontro” col Cervo, affinché resti testimonianza di come il recupero di questa festa sia stato, per molti versi, un caso fortuito e fortunato. Quando me ne fu segnalata l’esistenza, il Cervo di Castelnuovo era moribondo, era nel letto di morte, colpito non dal consueto Cacciatore ma dalla noncuranza della gente, dalla omologazione culturale mediale, da tutto ciò che quotidianamente distoglie dai valori autentici della vita. Se anche gli ultimi pochi volenterosi avessero chiuso gli occhi, con ogni probabilità l’Uomo-Cervo sarebbe rimasto per lungo tempo ancora (o forse per sempre) rintanato nel suo rifugio montano, un rifugio inesorabilmente chiuso dal macigno dell’indifferenza.
Il Cervo, fortunatamente, è sopravvissuto ed oggi e più che mai vivo. Viene, però, da chiedersi: quante espressioni culturali altrettanto importanti sono state abbandonate, dimenticate, seppellite?».
Questa testimonianza fa chiarezza rispetto a talune millanterie d’uno strano personaggio che, ogni tanto, afferma d’essere stato lui a “scoprire” l’Uomo Cervo e ad averne valorizzato le peculiarità.
* * *
Tornando alla maschera, essa pare avere avuto una origine mitica. Alla tradizione del carnevale castelnovese, difatti, è legata una leggenda, quella della favolosa pietra di bezoar (o belzoar, come dicono in paese). Un talismano contro il veleno.
Ve la racconto [2]: «Secondo diffuse credenze, la pietra di bezoar è una piccola e luminosa pietra che nasce spontaneamente tra le corna [3] dei cervi maschi dominanti [4], sorretta da sottili fili cartilaginei. La leggenda vuole che, anticamente, l’Orso Nero e il Gran Cervo fossero i re di un’alta montagna. Ma un giorno la montagna fu infestata dai serpenti. Solo la pietra di bezoar [5] consentiva di restare immuni dal morso delle vipere e degli altri rettili velenosi. Così il Gran Cervo, le cui corna erano adornate dalla magica pietra, restò l’unico dominatore del monte e della foresta. Ciò gli procurò l’invidia del feroce Orso Nero che, per impossessarsi della pietra, uccise il Cervo, gli strappò le corna e andò a gettarne il corpo in un lago. L’Orso ora si sentiva il signore assoluto della montagna. Ma quando si trascinava dietro le corna col bezoar, queste s’impigliavano tra le siepi del sottobosco, facendo tanto rumore da far fuggire ogni possibile preda. Così, in breve tempo, l’Orso Nero morì. La leggenda vuole che, di tanto in tanto, lo spirito del Gran Cervo venga fuori dal lago e s’aggiri per il monte e la foresta alla ricerca delle corna e della pietra di bezoar [6]».
Ernest Carracillo - Presidente dell'Associazione Culturale "Il Cervo" di Castelnuovo al Volturno
Note
[1] Il primo articolo di Gioielli in cui compaiono notizie sul carnevale di Castelnuovo è: M. Gioielli, Tradizioni carnascialesche nel Molise, «Abruzzo Oggi», anno X, n. 3, marzo 1987, pp. 31-32. Negli anni successivi, egli ne ha firmato vari altri, uno dei quali su una rivista tedesca.
[2] M. Gioielli, La cultura musicale e le tradizioni orali dei pastori transumanti, in E. Petrocelli, La civiltà della transumanza, Isernia, Iannone, 1999, p. 324.
[3] Alcune varianti della leggenda indicano quale sede della pietra di bezoar le viscere dell’animale.
[4] In altre leggende molisane, al posto del cervo si indica il montone; in area abruzzese, oltre a questi due animali, si riscontra anche il bezoar del camoscio; nell’alta Puglia, invece, molto spesso troviamo legati a questo mito il cavallo o il più fiabesco unicorno.
[5] La pietra di belzoar è conosciuta anche come “pietra del serpente”.
[6] La leggenda della pietra del belzoar è molto diffusa nella cultura pastorale molisana e abruzzese. Forse la ragione di ciò sta nel fatto che essa difendeva dal morso delle serpi, pericolo tra i più temuti dei pastori transumanti. Tale pietra, infatti, ha la stessa forza apotropaica e taumaturgica attribuita a San Domenico (venerato a Castelpizzuto, Cocullo e altri paesi abruzzesi, molisani, laziali e umbri), santo a cui i pastori ricorrono proprio per essere protetti, insieme alle greggi, dal morso dei serpenti velenosi.