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L’abbigliamento tradizionale isernino

Ultima modifica 25 marzo 2022

Angelo Viti

Uno studio particolareggiato ed esatto sulle antiche vesti popolari oggi non si può fare. La gente isernina che indossava le sete ed i panni apportò, attraverso le varie epoche di evoluzione e dominazione straniera, un progresso di praticità al taglio ed all’ornamento dei costumi. Soltanto le poche nonne che ancora nella nostra epoca si aggirano negli umbratili vicoli, nei solatii mercati, rimangono a testimoniarci – ed in maniera parziale – quello che è stato l’abbigliamento delle loro ave. Qualche raro ed “originale” costume vien gelosamente custodito negli arconi di famiglia e per i nostri contadini queste vesti sono diventate sacre reliquie di estinta e morbida bellezza che, forse, come tradizione vuole, saranno indossate soltanto il giorno in cui questi tenaci conservatori andranno a popolare il loro perenne lembo di terra.

Quello che ci ha colpito talvolta, osservandolo in occasione di riunioni e sagre, è l’austerità del costume isernino. Grande dote questa, quando si tien presente che i prodotti della fantasia popolare son quasi sempre fantasmagorici, teatrali, vistosi.

Il costume isernino è semplice ed originale. In questa sobrietà di linee e di colori, nella freschezza del taglio scaturisce tutta una remota atavica probità di vita. Nell’euritmia soave di toni chiari e semplici, come quel ceruleo che ricorda il cielo, nella continuità sinuosa di linee, ci pare alle volte rivedere soavi immagini di fanciulle di Caria e Licia. Quella mappa candidamente trinata, posata sulla cervice, ricorda il capo delle donne Corfiote. Da queste considerazioni non vorremmo fare dedurre al lettore una continuità od influenza del costume greco, sebbene tutti gli abiti, specialmente italioti, foggiarono le primitive acconciature su quelle che i popoli di oltremare portarono. Esempio tipico quello femminile di Gallo.

Il costume femminile è costituito dalla gonna, in seta o cotone, di colore azzurro chiaro, pieghettata alla cintura e leggermente svasata in basso, senza ornamento alcuno. Ricorda, nella classica semplicità, l’abbigliamento sannita citato dal cronista Lucio Florio.  Sulla gonna viene legato il grembiule, mandezine, che in origine aveva soltanto funzione ornamentale mentre oggi preserva l’abito. È solitamente nero. Per le spose, arabescato e merlettato. Il corpetto è il capo di vestiario più vanitoso e pretenzioso sul quale l’inesauribile vena artistica delle ricamatrici si è sbizzarrita. Ricorda lontanamente il giustacuore rinascimentale. È di colore porpora o granato, ricamato con cordicella in oro. I disegni sono ghirigori che s’intersecano in volute e rosette sul seno fino ad estinguersi con un filo lineare alle maniche ed alla cintola. Sotto il corpetto si indossano camicie bianchissime ricamate agli orli con i tradizionali merletti, pezziglie. La singolarità del corpetto consiste nel non avere maniche staccate, come quasi tutti i costumi molisani hanno, e di essere molto aderente al corpo, tanto da modellarlo. Sulle spalle veniva adagiato un ampio fazzoletto frangiato, scolla, piegato a triangolo il cui vertice era rivolto in basso, solitamente di colore giallo. Infine la mappa, o maccaturo, ricorda molto l’habitus manicatus delle sannite. È bianco o di altro colore, trattenuto da due spilloni d’oro ai lati del capo, conficcati su una formella di panno rosso la quale racchiude i capelli intrecciati e raccolti a cercine. Le scarpe sono stilizzate. In dialetto si chiamano chianieglie, di cuoio nero e mancano di calcagno.

Gli uomini, sempre così austeri e pratici nel vestire, indossano giacca e pantaloni blu scuro. Questi ultimi corti e aperti dal lato esterno e al disopra della caviglia, per una decina di centimetri. Il panciotto, camisciola, come la giacca ha bottoni dorati e grossi. La camicia è di tela bianca ma senza colletto, mentre il cappello è nero, molto piatto, a falde larghe e perfettamente rotondo. La protezione dei piedi è affidata ad un pezzo di pelle di capra. In epoca più vicina, come ancora oggi, viene sostituito da pezzi di copertone d’auto. Queste calzature, scarpitti, vengono fissate da legacci, criuoli, molto lunghi i quali si avvolgono attorno ai polpacci rivestiti, questi, di pezze di bianco lino. Soltanto gli uomini si avvolgevano in inverno in ampi tabarri di panno blu scuro con bavero alto e foderato di pelo di capra, con i risvolti di panno rosso cinabro.


Queste notizie sull'abbigliamento tradizionale isernino sono la prima parte dell’articolo Il costume, gli usi e le credenze popolari, che Angelo Viti pubblicò nel volumetto (commemorativo del bombardamento del 10 settembre 1943) intitolato Aesernia, a cura di Sabino d’Acunto, Tipografia editrice Sammartino, Agnone 1947, pp. 28-31].