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Tre miracoli di Celestino V

Ultima modifica 28 marzo 2022

dal volume Mauro Gioielli, Isernia fra passato e presente, Palladino ditore, Campobasso, 2006, pp. 46-48

Vicende tra lo storico e il mitico riguardano un po’ tutti i santi. Celestino V, papa-santo, non fa eccezione. Intorno alla sua vita, ai suoi miracoli e alla sua morte è nata cospicua lette- ratura e l’immaginario popolare ha creato non pochi racconti. Le storie leggendarie più co- nosciute sono due: quella del gran rifiuto e quella del chiodo.1   Numerosi episodi agiografici, inoltre, tramandano interventi prodigiosi del Santone isernino. Ne trascrivo tre, secondo i contenuti delle varianti diffuse nella tradizione orale (le fonti scritte riportano versioni ana- loghe nella sostanza, ma leggermente differenti nella trama).

Il miracolo del pane
Un sabato sera, quando il piccolo Pietro aveva sei anni, sua madre mise a lievitare della pasta di farina che, la mattina seguente, sarebbe stata pronta per farne pane.
Il figlioletto le rammentò che il giorno successivo era domenica, non si doveva lavorare ma dedicarsi a Dio. La madre replicò che il Signore avrebbe compreso, perché il pane era necessario a sfamare l’intera famiglia.
La mattina successiva, però, la donna trovò la massa pastosa non lievitata e tutta piena di vermi. Allora svegliò Pietro e gli disse:
«Avevi ragione, figlio mio. Ho creduto di poter disattendere il dovere domenicale e sono stata punita».
«Torna in cucina, mamma – replicò il fanciullo –, vedrai che la pasta sarà pronta per il pane».
Infatti, per miracolo, la trovò ben lievitata e senza più neppure un verme. Ne venne un pane straordinariamente saporito, che fu mangiato per molti giorni senza che mai diven- tasse raffermo.2


La croce d’oro
Alcuni mesi dopo aver rinunciato al papato, Celestino V, per volere di Bonifacio VIII, fu rinchiuso in un’umile celletta della rocca di Fumone: un angusto locale, così piccolo che a stento il povero religioso si poteva distendere per dormire. Le pareti erano ammuffite, l’aria che si respirava era malsana.
 

Dei soldati, a turno, erano addetti alla sua vigilanza e c’era sempre un picchetto di guar- dia che sostava all’ingresso della cella.
Passarono alcuni mesi, durante i quali l’anziano ex pontefice, data l’età e il luogo, s’ammalò e il suo corpo si coprì di piaghe.
Si narra che, la vigilia del diciannove maggio 1296, gli armigeri di guardia videro un im- provviso bagliore. Sulla porta d’ingresso della celletta, infatti, era apparsa una rilucente cro- ce color dell’oro che rimase lì, ben visibile, finché, il giorno successivo, il vecchio Pietro non esalò l’ultimo respiro.
Quella croce era il segno della santità di Celestino V.3

Il Santone e gli emigranti
Alcuni emigranti isernini che, ad inizio Novecento, decisero d’andare in America, furono sorpresi da una terribile tempesta mentre attraversavano l’oceano sopra un bastimento.
La nave rischiava di affondare e i viaggiatori temettero di dover morire tra i flutti. Allora, invocarono ru Sandone (così, ad Isernia, viene chiamato san Pietro Celestino) pregandolo di salvarli.
Il santo apparve agli emigranti, fece placare la tempesta e protesse il viaggio degli iser- nini fino all’approdo sulle coste americane.4


1  M. Gioielli, Due leggende su Celestino V, «Utriculus», VII, n. 2 (26), 1998, pp. 43-47.
2  Una variante dell’episodio è narrata nella «Autobiografia»  di Celestino V (a cura di V. Licitra, Isernia 1992, IV, pp. 28-29), laddove si legge che la madre del futuro papa «teneva in grande considerazione i Santi, e celebrava
le loro festività. Perciò, nel giorno della festa di san Giovanni Decollato, dato che l’indomani bisognava fare il pane, la sera voleva preparare il lievito, e a tal fine cominciò timorosa a mettere acqua nella farina: ed ecco che all’improvviso tutta la farina appariva come un ammasso di vermi. Allora, impaurita, la donna cadde a terra pregando Dio e dicendo: ‘Abbi pietà di me’, e subito la farina ritornò al suo stato naturale».
3  Il prodigio è narrato anche da Stephanus Litianus (Vita del Beatissimo  Confessore Pietro  Angelerio,  a cura di V. Licitra e F.L. Schiavetto, Isernia 1995, p. 75) che, però, lo colloca dopo la morte del papa-santo: «Giunto il sa- bato, aggravandosi al vespro la debolezza del corpo, la felice e beata anima del servo di Dio, desiderosa di sciogliersi dal corpo e di essere con Cristo, andò al Signore tra le parole di una preghiera e passò dal dolore all’eterno riposo. Il Signore si degnò di mostrare nella sua morte un segno meraviglioso: al centro della sua prigione apparve miracolosamente una croce luminosissima sospesa in aria e vi rimase fino a quando il santo corpo non fu rimosso da lì».
4  Cfr. A. Viti, Il costume, gli usi e le credenze popolari,  in Aesernia, a cura di S. d’Acunto, Agnone 1947, pp. 28-31;
M. Gioielli, Fiabe, leggende e racconti  popolari del Sannio, Isernia 1993, p. 195.